giovedì 7 luglio 2011

L' INTESA RAGGIUNTA NON RISOLVE NULLA.

E' importante che il dialogo tra Confindustria e i sindacati, tutti, sia ripartito, ma l'intesa raggiunta non risolve nulla perche', invece di salvare definitivamente il contratto nazionale, accelera sulla contrattazione aziendale con tutti i rischi gia' visti alla Fiat. E soprattutto e' un accordo che non ci piace perche' scardina lo strumento referendario, unico modo che i lavoratori hanno per esprimersi sul merito degli accordi raggiunti dai sindacati. Non si possono smantellare le tutele e le garanzie contrattuali, guadagnate con anni di lotte sindacali, ignorando l'opinione dei lavoratori. Non si puo' scaricare tutta la crisi sulle loro spalle. Per questo, il gruppo Idv in Senato ha presentato un disegno di legge, a prima firma della senatrice Giuliana Carlino, volto proprio ad assicurare la possibilita' per i lavoratori di esprimere la propria volonta' su qualsiasi tipo di accordo che li riguardi. E oggi tocca soprattutto a loro dire l'ultima parola su un accordo carico di tante incertezze.

sen. Felice Belisario
Presidente del Gruppo Italia dei Valori al Senato

Quell’accordo non risponde alla richiesta di democrazia

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Non sta alle forze politiche giudicare nel merito gli accordi sindacali. L’autonomia del sindacato è una cosa seria. Altro discorso, però, è valutare la fase politica in cui cade un accordo sindacale e le ricadute complessive che il metodo adoperato per stringerlo, indipendentemente dai suoi contenuti, comportano. Questo, al contrario, è compito prioritario di Sinistra Ecologia Libertà e di tutte le forze politiche che col sindacato intrattengono e intendono mantenere un dialogo non invasivo ma neppure ipocrita. Allo stesso modo sarebbe a dir poco reticente nascondere che le preoccupazioni per la minaccia che grava sul contratto nazionale, non sono del tutto dissipate neppure da questo accordo.
Il nostro Paese è avviato verso l’uscita da una delle fasi più buie e desolate della sua storia. A chiudere la lunga e disastrosa esperienza del berlusconismo non sono e non saranno le alchimie dei partiti, le loro bizantine alleanze. E’ una richiesta di democrazia sostanziale, di partecipazione diretta, di potere effettivo esercitato dal basso che rappresenta l’esatto opposto del plebiscitarismo berlusconiano. Questo ci hanno detto le elezioni amministrative. Questo ci hanno confermato, con forza e urgenza anche maggiori, i referendum e le popolazioni della Val di Susa sulla vicenda TAV.
Rispondere a questa richiesta di democrazia non è il dovere e la sfida determinante solo per la sinistra politica. Lo è in misura identica anche per il sindacato. Per questo, pur senza entrare nel merito di quello che c’è nell’accordo firmato da Cgil CISL e UIL, risulta impossibile non notare e non segnalare quel che non c’è. Manca infatti una risposta positiva alla richiesta di democrazia effettiva, una capacità di cogliere quella spinta che può tradursi solo nella scelta di sottoporre al parere vincolante dei lavoratori ogni accordo e di verificare puntualmente il rapporto tra la rappresentanza sindacale e i lavoratori rappresentati.
E il primo passo su questa strada deve essere fatto subito. E’ questo stesso accordo che deve essere vagliato e votato, approvato o respinto con massima partecipazione e uguale trasparenza da tutti i lavoratori coinvolti.
Senza questo passaggio, senza una risposta reale alla domanda di partecipazione e di democrazia reale, difficilmente il sindacato e la sinistra sociale avranno un respiro maggiore o un futuro meno incerto di quello che attende i partiti della sinistra se non si muoveranno subito, qui e ora, in quella stessa direzione.

Francesco (Ciccio) Ferrara

SINISTRA ECOLOGIA E LIBERTA'

Sindacati confederali: tutti complici di Marchionne, Marcegaglia e Tremonti

Sindacati confederali: tutti complici di Marchionne, Marcegaglia e Tremonti

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Accordo Cgil, Cisl, Uil Confindustria del 28 giugno
L’accordo sottoscritto dalla Confindustria e dai vertici dei sindacati confederali (compresa la segretaria generale della Cgil Susanna Camusso) costituisce un durissimo colpo ai diritti e alla democrazia nel movimento operaio sindacale (tutto il potere alle aziende e agli apparati burocratici, niente ai lavoratori), e rappresenta un formidabile sostegno alla più volte dichiarata volontà dei padroni e del governo di smantellare il valore e il senso del contratto nazionale. Il Contratto nazionale da oltre quarant’anni costituisce la garanzia di un trattamento salariale e normativo uniforme su tutto il territorio nazionale, dando sostanza al principio fondamentale “a lavoro uguale salario uguale”.
Questo principio è già stato fortemente intaccato dal dilagare in tutti i posti di lavoro pubblici e privati del lavoro precario e atipico, ma aveva continuato a valere per milioni e milioni di lavoratrici e di lavoratori dipendenti. Un primo forte colpo complessivo al contratto nazionale era stato sferrato nel gennaio 2009, con l’accordo separato sul modello contrattuale, allora non sottoscritto dalla Cgil.
L’accordo odierno si affianca a quello del 2009 regolamentando modalità e validità dei contratti aziendali. In forza dell’accordo del 28 giugno, saranno dunque possibili deroghe aziendali ai contratti nazionali su: inquadramenti, orari, prestazioni straordinarie obbligatorie, ritmi e intensità dello sfruttamento, organizzazione del lavoro. In una parola, almeno su queste materie, scompare la garanzia costituita dal contratto nazionale e sono consentiti ovunque accordi aziendali peggiorativi dei contratti nazionali: “a lavoro uguale salario e diritti diversi”.
L’accordo, inoltre, regolamenta in maniera autoritaria e antidemocratica la rappresentanza e la rappresentatività e la “esigibilità” degli accordi. Accordi aziendali stipulati dal 50% più 1 della RSU non potranno essere contestati né impugnati da chi non è d’accordo, né con scioperi né con la richiesta di referendum. Si cancella, dunque, il sacrosanto diritto delle minoranze che (come dimostra la vicenda dei referendum del 12 e 13 giugno) non di rado possono rappresentare gli orientamenti della maggioranza.
Non dimentichiamo inoltre che le RSU in parecchi casi (grazie alla vergognosa riserva di un terzo dei seggi) non rappresentano neanche formalmente le scelte della base.
Con l’accordo viene completamente avallata l’iniziativa antioperaia e antisindacale attuata da Marchionne (che non si acconta mai e gioca ancora al rialzo per assicurarsene la piena esigibilità) in tre stabilimenti Fiat (Pomigliano, Mirafiori e Grugliasco), incoraggiandolo ad estendere la sua operazione a tutti gli altri stabilimenti.
Viene premiata la complicità con il governo e con la Confindustria che ha caratterizzato Cisl, Uil e Ugl da oltre due anni, complicità alla quale la Cgil oggi si associa, tra l’altro chiedendo l’estensione della detassazione dei premi di sfruttamento da cui, nel passato, si era dissociata.
All’interno della CGIL, il sindacato metalmeccanico, la FIOM, ha espresso il suo completo dissenso nel merito e nel metodo dell’accordo.
Il contesto politico e sociale, inoltre, rende ancor più vergognoso l’accordo del 28 giugno. Non a caso sia il ministro Sacconi sia il ministro Tremonti plaudono all’accordo perché vi leggono, giustamente, un sostanziale sostegno alla paurosa stangata da circa 50 miliardi di euro che il governo sta varando e che porterà un aumento delle tasse per i lavoratori (e una diminuzione per i ricchi, chiamata “rimodulazione” dell’Irpef), un aumento dell’IVA (con conseguente aumento dei prezzi al consumo), il blocco delle retribuzioni nel pubblico impiego e il blocco del turnover (con il conseguente smantellamento definitivo dei servizi), l’aumento dell’età pensionabile (anni di lavoro gratis per gli anziani, togliendo occupazione ai giovani e arricchendo i padroni), l’incremento dei ticket sanitari, ecc, un nuovo drastico taglio alle risorse degli Enti locali, con il conseguente crollo dei servizi.
L’accordo sindacati confindustria (e di fatto anche governo) col pieno sostegno delle forze del centro sinistra ha quindi la funzione di legare mani e piedi al movimento dei lavoratori, di imporre le scelte padronali di far pagare fino in e fondo e più di prima i costi della crisi, cioè di scaricare gli enormi debiti con cui si sono arricchiti banche e padroni, sulle classi popolari. Si vuole impedire che le lavoratrici e i lavoratori reagiscono a tale ingiustizia e si colleghino al movimento sociali e di lotta dei giovani, dei precari, dei movimenti territoriali in difesa dell’ambiente, quest’ultimo impegnato nella dura mobilitazione in val di Susa contro il violento intervento poliziesco a sostegno di una assurda opera che serve solo ai profitti dei costruttori e degli speculatori.
Occorre reagire con forza a questo vergognoso accordo delle burocrazie sindacali asservite agli interessi dei capitalisti, occorre respingere con la mobilitazione e con la lotta i suoi contenuti capestro; serve una mobilitazione dal basso di contestazione di gruppi dirigenti che non rappresentano in alcun modo gli interessi dei lavoratori; serve la costruzione di una mobilitazione e di una lotta ampia per costruire un vero sciopero generale e generalizzato che unisca tutti i movimenti
per la difesa di diritti, salari occupazione e che con forza riaffermi che “le nostre vite valgono più dei loro profitti” e che “il loro debito noi non lo paghiamo”, unendo la nostra battaglia a quella che già si sta combattendo nelle piazze di altri paesi europei, dalla Grecia alla Spagna.

Sinistra critica - Organizzazione per la Sinistra Anticapitalista

ACCORDO Interconfederale CONFINDUSTRIA-CGIL-CISL-UIL

Confederazione Cobas
accordo
VERGOGNA!
Nella serata del 28/6 Confindustria e le segreterie di Cgil.Cisl.Uil hanno siglato l’accordo interconfederale su “ rappresentanza e validità dei contatti aziendali”, che sarà sottoposto in breve agli organi direttivi per l’approvazione definitiva , con l’esclusione dei lavoratori !
E’ UN ACCORDO CHE RECEPISCE ED OMOLOGA TUTTI I LAVORATORI
 AI DIKTAT DI MARCHIONE IMPOSTI CON IL RICATTO A POMIGLIANO E MIRAFIORI:
LA DISTRUZIONE DEI DIRITTI DEL LAVORO, CON TAL ACCORDO INTERCONFEDERALE, DIVENTA PRATICA CORRENTE PER TUTTO IL MONDO DEL LAVORO.
Per molti versi si torna agli anni ’50, quando alla prima sconfitta operaia in epoca repubblicana, sancita dalla Cgil con il “piegarsi alla ricostruzione“, imperò il Far West padronale che abrogò di fatto i contratti nazionali  a favore del primato dei contratti aziendali gestiti in proprio con la complicità delle incapaci e spesso colluse Commissioni Interne. Bisognerà giungere agli anni ’60, dalla rivolta di P.za Statuto a Torino all’”autunno caldo”, per ridare dignità,diritti e conquiste  ai lavoratori.
La premessa di questo  fac simile Pomigliano-Mirafiori definisce:
a)  “essenziale un sistema di relazioni …in grado di dare certezze ai tempi e contenuti della contrattazione, ma anche sull’affidabilità e il rispetto delle regole stabilite”, pena le sanzioni ai sindacati sottoscrittori (non ai lavoratori  che non le rispettano);
b) la “ deroga” al CCNL, per il superamento dei limiti posti ai tempi e ritmi di lavorazione, all’organizzazione del lavoro e a altro ancora.
Nel merito, anche se l’Accordo non è retroattivo e formalmente non copre come voleva la Fiat le newco di Marchionne, vengono stabilite le "regole”  capestro sulla validità degli accordi aziendali. Questi sono validi allorquando:
a) se approvati dal 50% delle RSU, senza passare per il voto dei lavoratori. Ma si sa che è alle RSA su cui Cisl e & puntano per il futuro “quale modello di rappresentanza: in tal caso per la firma basta il 50% delle deleghe, salvo l’eventualità che il 30% dei lavoratori chieda di sottoporre l’intesa al voto ;
b) i contratti aziendali approvati alle condizioni di cui sopra  (con tanto di clausole di tregua sindacale finalizzate a garantire l’esigibilità degli impegni assunti) hanno effetto vincolante per le OS-RSU-RSA firmatarie, non per i singoli lavoratori “ ;
c) si ribadisce la licenza di deroga: i contratti aziendali sono esenti dai vincoli posti dai CCNL .
Per quanto attiene la rappresentanza, in sintonia con l’accordo Cgil.Cisl.Uil del 2008, viene esteso al  settore Privato quanto previsto nel Pubblico Impiego, con la sostanziale differenza che la soglia del 5% viene calcolata sulla base dell’intera categoria anziché sui sindacalizzati, ovvero:
1) il numero di deleghe dovrà essere certificato dall’INPS ( si fa riferimento alla convenzione tra Inps e parti stipulanti, nulla si dice al riguardo per gli iscritti dei non stipulanti, vedi Cobas e vari altri), in base a quanto trasmesso dai datori di lavoro che notoriamente non accettano le adesione ai Cobas e alle organizzazioni sindacali non concertative;
2) il numero di deleghe + i risultati delle elezioni RSU, saranno trasmessi al CNEL (un organismo certamente non neutro) che dovrà stabilire  la graduatoria delle organizzazioni che superano il 5% dei lavoratori appartenenti alla categoria, soglia occorrente per la legittimazione a negoziare nell’ambito della categoria a cui si applica il CCNL;
3) nulla si dice, invece, sulla soglia minima di rappresentanza complessiva delle organizzazioni che stipuleranno i contratti nazionali.
Con questo famigerato Accordo, che cancella e supera quello del luglio ’93, i Confederali si sono fatti carico esclusivamente dei disegni padronali, a scapito dei lavoratori che dovranno subire il peggiore potere dispotico in fabbrica e il logoramento psico-fisico, causa l’iper produttività .
La CONFEDERAZIONE COBAS nel momento in cui smaschera e condanna la funzione di “sindacato giallo” rappresentata da Cgil-Cisl-Uil, si fa carico di sostenere in ogni sede i lavoratori e le RSU che intendano lottare per la difesa dei diritti inalienabili, salariali e occupazionali, contro questo vergognoso futuro sindacale e politico, che vuole i lavoratori soccombenti e i giovani precari a vita.
Roma 29.06.2011                                    CONFEDERAZIONE  COBAS

Siamo a un bivio: o svolta vera o "rivoluzione passiva"

 

di Giovanni Russo Spena

Vi è una grande confusione sotto il cielo della politica; ma la situazione non mi appare affatto eccellente. Stiamo vivendo, infatti, un paradosso che da giorni il nostro giornale illustra. I risultati delle elezioni amministrative, dei referendum, il conflitto sociale e territoriale diffuso alludono ad un cambiamento di fase, alla partecipazione popolare come fuoriuscita dal disincanto del popolo di sinistra, ad una volontà di ricostruzione di una società organizzata democraticamente e autogestita. Vi è una consapevole e, a volte, inconsapevole rimessa in discussione del dogma neoliberista; vi è, cioè, un mutamento profondo dello spirito pubblico. Eppure dal parlamento arrivano, da parte del centrosinistra, solo risposte centriste. Mentre il regime naufraga in quello che Pasquale Voza ha chiamato, sul nostro giornale, “sovversivismo delinquenziale”, le sinistre allontanano da sè stesse il compito di ricostruire l’alternativa, rinchiudendosi in nicchie centriste.
Già emergono, infatti, i guasti delle derive politiciste, che utilizzano i movimenti come orpelli e poi pretendono di tenerli lontani dai processi decisionali e dalle scelte strategiche (proprio per evitare che la politica si riduca, rispetto ai movimenti, al “tornate a casa, lasciateci lavorare”, abbiamo proposto la “costituente dei beni comuni”, per scongiurare risse personalistiche, corti circuiti populisti, riflusso della partecipazione). Ma emergono anche, dall’altra parte, le illusioni di chi pensa che i movimenti possano fare da soli liquidando i partiti. Credo, invece, che dovremo iniziare una feconda discussione, non accademica ma sul campo, sulle forme della rappresentanza, sul significato della militanza politica e sociale, sulla inderogabile necessità di una profonda autoriforma dei partiti che devono fuoriuscire dalle loro oligarchie autoreferenziali e costruire, con i movimenti, senza gerarchie incomprensibili, confederazioni territoriali di iniziative politiche e sociali. E’ più che mai tempo di “partito sociale”, di partito che non sequestra la rappresentanza, ma costruisce conflitto creando dal basso un nuovo spazio pubblico. Di patti di vertice oligarchici sono pieni i fossi. Sono preoccupato: non è ancora iniziata questa riflessione collettiva, che pretende grandi discontinuità, anche nei comportamenti pratici, e già lo spirito pubblico antiliberista deve fare i conti col tentativo di imbrigliarlo con equilibri politici moderati. E’ una disastrosa coazione a ripetere.
Basti ricordare i temi centrali intorno ai quali si definisce un’alternativa: la guerra, che vede impegnatissimo il Pd, che è silente, invece, sul sabotaggio governativo della Freedom Flottilla. E vi sarà, nel centrosinistra, una critica radicale dell’economia politica, una tensione a fuoriuscire dai vincoli europei, a partire dal congelamento del debito della Grecia oppure il centrosinistra naufragherà sugli scogli di una strategia liberista più realista del re che è, tra l’altro, la bancarotta definitiva della liberaldemocrazia? Penso anche ai temi di queste ore: gran parte del centrosinistra è ancora chiuso ottusamente all’interno di una logica di sviluppismo beota che pretende che la Tav vada imposta anche con l’esercito; mentre, non a caso, vengono presentate leggi sul tema della ripubblicizzazione dell’acqua bene comune che, come quella toscana e, in parte, quella pugliese, tradiscono spirito e lettera del referendum che noi consideriamo il paradigma fondativo unico della risocializzazione dell’acqua che non può essere negato per gli interessi della Confindustria e del lobbismo di sinistra. Né il partito democratico (e non solo esso) riesce a prendere una posizione univoca rispetto al referendum che vuole ripristinare la legge proporzionale nella formazione della rappresentanza parlamentare. Sono, cioè, i fondamentali che mancano; così, con poche idee ma confuse, si va allo sfascio. Come nel caso che ritengo più grave (di cui hanno già parlato, su Liberazione, Dino Greco, Cremaschi, Landini, la Fantozzi). E’ incredibile, infatti, che, in una fase in cui le sinistre hanno vinto, laddove hanno rilanciato partecipazione, democrazia, iniziativa unitaria dal basso, l’accordo fra sindacato e Confindustria incida proprio sull’abbattimento della partecipazione, della decisionalità di ogni lavoratrice e di ogni lavoratore con il proprio voto, sulla limitazione del diritto di sciopero. E’ un punto di non ritorno, che ci parla delle modalità stesse del conflitto, di una decisionalità affidata a delegati non eletti ma nominati; di natura stessa quindi delle organizazzioni sindacali, che diventano parti integranti dello Stato allargato, gestori corporativi del mercato del lavoro delle precarizzazioni. Perciò non mi convincono i compagni che, in buona fede, partono dalla vittoria referendaria e dal clima mutato per proporre, quasi automaticamente, il tema del governo. Mi sembra, tra l’altro, un pericoloso avventurismo idealista; mentre invece occorre ricostruire, nel conflitto e nella proposta, un rapporto di forza alternativo rispetto ad un presunto “patto fra produttori” (oggi grottesco e obsoleto di fronte alla crisi della globalizzazione liberista) che dovrebbe fare da base strutturale alla formazione del nuovo centrosinistra. Gramsci, di fronte a situazioni così complesse, che vedono il pericolo di egemonie moderate, parlò di “rivoluzione passiva”; rapportando le scelte di vertice a processi di passivizzazione e frantumazione di massa (che, infatti, stanno oggi dietro l’angolo e che possono nascere dalle mancate risposte alle aspettative nate negli ultimi tempi); ma si poneva anche drammaticamente il problema di come contrastare questo processo, di come elaborare una teoria della soggettività politica, di come costruire processi radicali e unitari di massa come base dell’alternativa. Occorre agire subito. Giorgio Mele e Fabio Vander hanno scritto, ieri, della proposta di convocazione di «stati generali della sinistra», aperti ed inclusivi «ma anche concludenti; su questa base di unità e di rinnovamento della sinistra può poi porsi il problema di una coalizione insieme al Pd ed ad altre forze politiche, di movimento e di società civile...». Costituente dei beni comuni come priorità degli assetti strategici e programmatici e stati generali della sinistra per costruire un polo autonomo della sinistra anticapitalistica mi sembrano le due proposte che possano tenere insieme spirito antiliberista diffuso e sbocco politico. Siamo, infatti, di fronte ad un doppio movimento: se non avanzano le nostre proposte (o altre dello stesso tenore), vincerà la palude della “rivoluzione passiva”, di una alternativa senza popolo. Anzi, contro il popolo.
Liberazione 01/07/2011

Chi ha fatto i soldi con la crisi economica dopo averla provocata, è colpevole?

LAVORO ECOLOGIA E FUTURO:" PERFETTAMENTE D'ACCORDO" CON JACOPO FO.

Michael Moore ha cercato di arrestare i dirigenti delle maggiori banche e istituzioni finanziarie Usa. Nel suo ultimo film, Capitalismo, una storia d’amore, lo vediamo circondare i palazzi della finanza con un nastro di quelli usati dalla polizia americana, con su scritto “luogo del crimine”.
La storia è molto semplice, a partire dagli anni ’80, Reagan, eletto con l’appoggio delle lobby finanziarie, inizia a smantellare i sistemi di controllo sui prestiti erogati dalle banche. In questo modo una banda di speculatori ottiene cifre colossali senza dare garanzie e li usano per giocare in borsa. Quando guadagnano sono felici, quando ci perdono falliscono le banche. Più di mille banche Usa chiudono quando la bolla speculativa degli anni ’80 scoppia.
La banda Bush affida direttamente il controllo del sistema finanziario Usa a uomini di organizzazioni come la Goldman Sachs che danno il via libera all’abbattimento di ogni regola. Iniziano così speculazioni a dir poco folli, e milioni di americani vengono convinti a ipotecare la propria casa in vista di guadagni milionari (http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/10/23/il-primo-nemico-dell’umanita/73205/). Le banche riescono a vendere prodotti finanziari spazzatura, cioè la gente ipoteca la casa per comprare i titoli di credito di persone che hanno comprato una casa senza avere i mezzi economici per farlo. Sostanzialmente la stessa cosa che in italia si è fatto vendendo alle vecchiette i titoli sul debito argentino, sul debito della Parmalat eccetera.
Poi anche questa seconda bolla finanziaria scoppia e iniziata la crisi mondiale degli anni ’80.
Il governo Usa e molti governi di altri paesi sono allora intervenuti (sollecitati dalle lobby finanziarie) per salvare le banche tirando fuori centinaia di miliardi di euro.
E i manager delle grandi banche hanno brindato distribuendosi premi per miliardi di euro.
Intanto sono iniziati i tagli ai servizi sociali in tutti i paesi industrializzati. Il debito degli stati minaccia infatti di far crollare completamente l’economia mondiale.
E se volete un parere spassionato non ce lo possiamo permettere.
Se poi vuoi approfondire le tue conoscenze sulle brutture del capitalismo selvaggio vedi il video (sottotitolato in italiano) Debtocracy, Debitocrazia, (versione sottotitolata in italiano http://www.youtube.com/watch?v=mpNGYoXzMRc) .
Sostanzialmente racconta che un debito pubblico può non essere pagato ai creditori se essi sono contemporaneamente anche i corruttori e i lobbisti che hanno contribuito a crearlo con mazzette, complotti, manipolazioni, vendendo ai governi che si indebitano armi o altri generi non necessari al benessere del popolo.
Bush ha fatto esattamente questo quando ha conquistato l'Iraq, ha invalidato l'80% del debito iracheno contratto da Saddam... E pure l'Equador lo ha fatto contro orde di speculatori nordisti... Quindi, dicono i nostri amici greci, perché dovremo pagare noi?

http://www.jacopofo.com/grecia_debito_non_pagare_debitocrazia_video

lunedì 20 giugno 2011

Una Risposta a Pietro Folena.

Da Lettera43 di oggi

Pierluigi Bersani, con Antonio Di Pietro -che di questa campagna referendaria è stato il primo promotore- e con gli altri esponenti del centrosinistra, può gioire davvero per l’esito referendario. E’ un momento in cui al leader PD tutto riesce bene. Se a Di Pietro, e ai Comitati per l’acqua pubblica, va riconosciuto il merito di aver rivitalizzato, dopo ventiquattro flop successivi del quorum, l’istituto referendario, a Bersani va riconosciuto il merito -a fronte delle posizioni fortemente favorevoli al privato nei servizi presenti nel suo partito- di aver assecondato la grande onda che ha visto i giovani protagonisti, e di cui la base e l’elettorato del Pd sono stati partecipi. Un’onda talmente forte da investire anche un elettore su due del centrodestra.
E’ opportuno tuttavia che il segretario del Pd, e i massimi dirigenti di questo partito, soprattutto i teorici di un riformismo liberale – in cui tutto andrebbe liberalizzato o messo in competizione- riflettano bene sul significato di questo voto. In primo luogo c’è una domanda di partecipazione e di protagonismo -la stessa che ha fatto vincere chi non ti aspetti prima alle primarie per le amministrative e poi alle elezioni stesse-, che non delega in bianco i partiti e gli eletti, e che pretende di condizionare le scelte che possono incidere sulla vita delle persone. Così per il nucleare -che riguarda la salute delle persone (e aggiungiamo che il voto referendario ha un valore europeo e internazionale, e ridà prestigio al nostro Paese tanto malandato)- e così per l’acqua, in cui vince un principio, un’idea morale, il convincimento che su un bene vitale e essenziale, che va gestito meglio e non sprecato, non è accettabile che vi siano speculazioni. Oggi c’è un vento profondamente democratico, dopo una lunghissima stagione in cui, anche a sinistra, prevaleva la cultura del capo e della delega al leader.
Ma il Pd e la sua classe dirigente devono riflettere sulla natura del proprio riformismo. Senza alcun estremismo, e senza posizioni demagogiche, è la cassetta degli attrezzi del liberalismo economico dell’ultimo ventennio a non funzionare più. C’è un nuova domanda di pubblico, anzi di res-publica, dopo anni di trionfo della res-privata: il riformismo deve essere, in questo senso, autenticamente repubblicano. Forte, capace di rispondere alle grandi domande di quest’epoca: che guarda ai mercati -che possono seguire strade alternative: le voci relative alle energie rinnovabili schizzano ora in su ! – ma che non pensa che i mercati siano una religione e richiedano di ripetere ottusamente una litania.
Ora compito del legislatore – e di un polo alternativo al centrodestra- è indicare le misure per un credibile piano energetico fondato sulle rinnovabili; e quelle per una gestione pubblica efficiente, con adeguati investimenti pubblici sulle reti, dell’acqua; per non parlare delle riforme che, cancellata la diseguaglianza del legittimo impedimento, rendano effettivamente eguale la legge per tutti, obiettivo dal quale siamo molto lontani. E così, anche contro il precariato, per una società fondata sul lavoro e sul suo riconoscimento, per la cultura come volano della crescita, il Pd e i suoi alleati si devono misurare con la stessa volontà democratica (scelgano i cittadini) e con la stessa chiarezza programmatica.
L’epoca della sconsiderata corsa al centro, per il Pd, è davvero terminata il 12 e 13 giugno scorsii

.http://www.pietrofolena.net/blog/

Si… e’ terminata l’epoca della rincorsa al centro del PD,ha vinto il popolo degli onesti,siamo in attesa della sinistra che tarda ad unirsi.
Piu’ che di riformismo,ora piu’ che mai,si dovrebbe parlare di “un Nuovo Modello Di Sviluppo”,Ecologico,Sostenibile e Inclusivo, che guardi in prima persona alle classi sociali fortemente svantaggiate.Bisogna costruire la Terza Via,un nuovo approccio Economico e Sociale,che guardi al liberismo,non come occasione perduta ma come motore di Sottosviluppo precarizzante e moralmente non etico.La Grecia e’ vicina.Il PDL e il PD sono complementari e perdenti.
Bisogna avere il coraggio di essere uomini liberi e combattere per una piattaforma che veda “il lavoro come un bene comune” punto di partenza di questa svolta.

Un commento al post di Pietro Folena.
Luca Mandanici